La passione per il racconto, questo il motore che mi ha spinto alla ricerca dei mezzi espressivi a disposizione.
Ho iniziato da bambino con il disegno, inventando storie e personaggi originali
per poi passare alla musica studiando da autodidatta la batteria e cimentandomi nel canto.
Con la mia band: “Alta Tensione” nel 1982 vinco l’unico talent esistente, quello Gestito da Rita Pavone e Teddy Reno, con la reale possibilità di essere la Band di Rita e di incidere un disco. Ma non andò a finire come speravo.
Dopo la metà degli anni ’80 escono sul mercato le telecamere per comuni mortali, e nel momento in cui poso l’occhio sul mirino, mi perdo in un mondo che mi rapisce per sempre.
Scrivere racconti con le immagini.
L’ANNO DELLA SVOLTA
IL MIO NUMERO FORTUNATO
IL TITOLO DEL MIO FILM
REGIE DEL FESTIVAL DI SANREMO - CONDUTTORI DIVERSI
Prima di fare il regista, ho lavorato in diversi mestieri, dal cameriere al carrozziere, dal rappresentante di marmi e graniti al montatore di caminetti, ma ho sempre seguito una regola che mio padre non smetteva mai di ricordarmi: se fai una cosa, falla al meglio delle tue possibilità.
Quando le telecamere per comuni mortali, negli anni 80, hanno fatto scattare in me quell’interruttore che mi ha appassionato a tal punto di dedicare la mia vita a raccontare storie per immagini, non avrei mai pensato di diventare un regista e soprattutto di esserlo diventato al livello che oggi ho raggiunto.
Fortuna?
Non ne sono convinto; Seneca diceva: la fortuna non esiste, esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione.
Sono sicuramente d’accordo con quelle parole, ma sono anche convinto che il talento non sia sufficiente per arrivare ai massimi livelli, si deve studiare, si deve conoscere il mezzo teoricamente per poterlo impiegare praticamente, e per uno come me che ha il grosso difetto della fretta tutto diventa molto più complicato. Basti pensare che non mi va neppure di leggere il libretto di istruzioni di qualsiasi oggetto acquisti, cercando di farlo funzionare con la presunzione del: “si, ma cosa vuoi che sia?”
Per finire poi, dopo diversi tentativi andati a vuoto, a dover sfogliare l’odiato manuale d’uso.
Come Rocky Balboa
Da bambino adora i personaggi dei cartoni animati, li studia, li disegna e al cinema parrocchiale è capace di starsene seduto a guardarli per ore, sovrapponendo nuovi finali a quelli che gli scorrono davanti: ed ecco che Wile E. Coyote riesce ad acciuffare Beep Beep, e Gatto Silvestro banchetta con Titti. Ma immaginare nuovi finali diventa ben presto una necessità: quando, appena tredicenne, legge il laconico bigliettino con cui sua mamma gli affida la cura dei tre fratelli minori prima di andarsene per sempre di casa, la sua vita diventa un lungo, faticoso, straordinario esperimento volto a darsi nuove possibilità. Come Rocky Balboa, anche il protagonista di questo romanzo autobiografico deve imparare a incassare colpi durissimi. E, come Rocky Balboa, capisce che proprio questo può fare la differenza fra perdere e vincere. Intanto, però, deve superare il difficilissimo rapporto con il padre, alcolista chiuso nel suo dolore e incapace di occuparsi dei figli, e riuscire a sopravvivere in un contesto di grande povertà, dove spesso le droghe cancellano prospettive e immaginazione. Tenta così di trasformare il suo dolore in energia, nella convinzione che prima o poi un sogno trova la sua strada. Ed è con questa convinzione che si dedica a mille lavori per lo più precari e saltuari. Neppure quando, poco più che ventenne, deve rinunciare suo malgrado a una promettente carriera musicale, in lui subentra la rassegnazione. Fino a che...